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EcoMuseo del Pianalto di Romanengo

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ROMANENGO, L'ACQUA, IL CASTELLO

Negli anni seguenti all’assedio di Crema (1159) da parte di Federico Barbarossa, il Comune di Cremona si era molto interessato ai territori superiori del suo distretto perché erano ricchi di acque e solo da quelli, per ragioni altimetriche, gli potevano arrivare, fin dal tempo dei Romani. Queste acque gli erano portate dal fluvio Cremonelle citato la prima volta nel 962. Quel fiume nel 1188 era specificato con  aque Cremonelle qui venit per campaneam. Nel 1231 il comune di Cremona decretava che questa acqua che veniva dalla campagna era tutta di sua proprietà, e ne regolava l’utilizzo per irrigare le terre o per azionare edifici idraulici. Aveva così origine il Naviglio della città di Cremona che soppiantava la medievale dizione usata fino ad allora. Infatti alla fine del Sec. XIII, compare la doppia dizione di flumen Cremonellae  sive Navilium (o Naviglio). Nei documenti redatti invece nella cancelleria del vescovo-conte, questo fiume era detto Agazina. Non è mai specificato dove originassero queste acque ma i documenti fanno pensare alla zona di Isso e Barbata, ricche di acque di superficie e di risorgive; in queste località esisteva ancora nel 1463 un “lago di Isso”. Ai nostri giorni sopravvive un corso d’acqua che ha origine a Barbata, detto la Schigazzina che è stata in antico di proprietà del Comune di Romanengo, e segnava per un tratto,  e segna ancora oggi il confine col Cremasco. La vocazione principale di Romanengo era quindi la distribuzione dell’acqua della quale era sempre crescente la domanda. Non si può escludere che le frequenti ostilità tra Cremona e Crema avessero in origine anche l’accaparramento dell’acqua, di rilevante importanza per ambedue le parti. 

Il problema che aveva Cremona era risolvibile solo a Romanengo, e per questo nel 1170 la città stipulava un accordo con Ticengo, al quale assicurava lo stesso trattamento fiscale concesso a Soncino, in cambio di lavori da farsi che consistevano in due sbarramenti artificiali, da costruirsi a Romanengo e all’Agazina. Non si può dimenticare che era ancora diffusa la navigazione fluviale e che a Romanengo nel 1192 esisteva un porto (portus).
A quei tempi Cremona iniziò un generale riassetto amministrativo nel territorio di Romanengo (che però faceva ancora capo alla ‘Corte di Ero’), e con diverse concessioni fiscali si assicurava la fedeltà dei signori locali, i quali gli assicuravano che l’acqua sarebbe sempre giunta copiosa alla città. Con questo obiettivo finalmente, il 2 agosto 1192 fondò il Castello e il borgofranco di Romanengo con  giurisdizione sui territori circostanti di Casaletto di Sopra, Ticengo, Albera, Ronco Todeschino, Salvirola e Fiesco.  Anche in questa occasione Cremona, impose l’obbigo ai signori di Romanengo di avere cura, mantenere, difendere e far scorrere l’acqua que venit ad Cremonam per campanea. Nessuno di questi signori però fu privato del diritto di poterne disporre per i loro bisogni (mulini, irrigazione ecc.) e neppure dei diritti di pesca e caccia. Era nato così il Castello, edificato su un dosso naturale, con la tecnica e i materiali del tempo cioè terra, acqua e legno, dotato di palizzata, fosso e redefosso. 

Non ci sono giunti i documenti del primo fortilizio, tuttavia gli scavi archeologici del 2003 hanno riportato in luce parte di grosse fondamenta precedenti, nell’area antistante il fronte Sud della rocca attuale. La superficie del Castello è stata fin da subito ‘urbanizzata’ per favorire l’edificazione, infatti era già densamente abitata alla fine del  Sec. XIII. Conteneva: la rocca,  l’ospedale di S. Bartolomeo, la sede comunale, la chiesa di S. Giorgio, la sede della confraternita dei Battuti (che aveva anche un torchio), poi osteria, botteghe, attività artigianali e molte case d’abitazione in muratura con tetto di coppi, molte a due piani, alcune col pozzo, che si affacciavano ordinate lungo stradine ortogonali. 
La rocca che si vede oggi purtroppo è solo un terzo di quel che era quando Romanengo fu fortificato dal Duca di Milano, nel ventennio tra gli anni Sessanta e Ottanta del Sec. XV. Prima fu eretta la muraglia tutt’intorno al quadrilatero del Castello (circa 20 mila metri di superficie), con due casematte ai quattro angoli, e per ultimo la rocca. Il primo disegno della nuova rocca era stato redatto da Serafino Giavazzi di Lodi nel 1459, in seguito al sopralluogo da lui fatto a Romanengo, ma forse si è preferito quello di Danese Maineri che ne ha seguito poi la costruzione, alternandosi con  Benedetto Ferrini. Dei due disegni non esiste traccia. Alla fine del Settecento, la planimetria della rocca era ancora integra, cioè tre corpi di fabbrica posti a U, con il fronte ad est, sia pure sin da allora  ammalorati e in seguito ulteriormente minati dal terremoto del 1802. Ma si guardava già da prima alle mura che stavano per  diventare vere cave di mattoni da vendere, tolti ad uno ad uno, poi venne la volta di tutto il resto che fu demolito nella prima metà dell’Ottocento.

Ferruccio Caramatti


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